30 Nov Paleo Diet: una scelta sostenibile?
La Paleo diet è una scelta sostenibile?
Seguo la Paleo Diet da diversi anni e questo percorso mi ha spinto a esplorare temi come l’impatto ambientale delle scelte alimentari. Credo che nell’epoca che stiamo vivendo, ognuno di noi, compatibilmente con le proprie possibilità, dovrebbe riflettervi. Questo articolo è una riflessione personale nata dalla mia esperienza con la dieta paleo e dal confronto con idee diverse, incluse quelle di persone vicine a me che hanno abbracciato stili di vita differenti, come il veganesimo. Non sono un medico, né una nutrizionista o una ricercatrice, ma una persona curiosa e appassionata che ha trovato nella Paleo un nuovo equilibrio, sia fisico che mentale. Se cerchi contenuti scientifici o supportati da studi accademici, ti invito a consultare fonti ufficiali. Qui troverai semplicemente il mio punto di vista personale.
Paleo Diet: perché è nata e perché ne parliamo ancora?
Perché, nonostante i progressi della medicina e l’aumento dell’aspettativa di vita, siamo sempre più colpiti da malattie croniche, autoimmuni e obesità, anche in giovane età? La Paleo Diet si è sviluppata a partire da questa osservazione critica, ponendo l’accento sull’importanza dell’alimentazione come fattore chiave nel mantenimento della salute e nella riduzione del rischio di patologie croniche. L’obiettivo era chiaro: cercare di capire quale dovrebbe essere l’alimentazione “naturale” per l’Homo sapiens sapiens, cioè quella a cui siamo geneticamente predisposti. Una dieta che dovrebbe garantirci una salute ottimale, portandoci a una vita lunga e sana, con una morte per vecchiaia, come sarebbe naturale, e non per malattie che, pur facendo salire l’età media, ci pongono un interrogativo: a che prezzo?
Paleo Diet o alimentazione secondo natura?
Ma se la Paleo diet aspira a riscoprire ciò che è naturale per l’uomo, perché non utilizzare un termine più intuitivo e oggi molto in voga come “alimentazione secondo natura“? Perché gli ideatori della Paleo Diet hanno dato a questa domanda una risposta tutt’altro che ovvia. La Paleo Diet individua infatti le sue linee guida dietetiche nel periodo pre-neolitico, epoca in cui l’uomo basava la sua alimentazione principalmente su caccia e raccolta e, per quanto sappiamo, non era colpito dalle cosiddette “malattie della civilizzazione” come autoimmunità, resistenza insulinica, sindrome metabolica o leaky gut, che oggi ci affliggono sempre prima e sempre più spesso. Di conseguenza, la Paleo Diet esclude tutti i prodotti derivanti dalla rivoluzione agricola, cereali, legumi, latticini e, oggi, carne da allevamenti intensivi e cibi industriali.
La scelta di guardare specificamente al periodo pre-neolitico deriva dal fatto che questo rappresenta più del 90% della nostra storia genetica. Durante il Paleolitico, iniziato circa 2,5 milioni di anni fa e concluso 12.000 anni fa, gli esseri umani si sono evoluti come cacciatori-raccoglitori, adattandosi a un ambiente caratterizzato da risorse alimentari naturali e non trasformate. Questo lungo periodo ha plasmato la nostra biologia e i nostri meccanismi genetici, mentre il successivo Neolitico, con l’introduzione dell’agricoltura e di stili di vita stanziali, ha rappresentato un cambiamento relativamente recente nella scala evolutiva.
Un altro aspetto interessante e inedito dell’approccio “paleo” alla dieta, rispetto ad altri regimi alimentari, è stato il suo porre l’accento sull’equilibrio con il nostro habitat piuttosto che su un rigido schema di suddivisione dei macronutrienti. Questo significa che la Paleo Diet non predica un modello unico e universale:
ciò che un Inuit potrebbe considerare come “naturale” nella sua dieta, ricca di grassi animali e pesce, è radicalmente diverso dagli alimenti tradizionali di un abitante delle isole Okinawa, basati su una maggiore prevalenza di carboidrati complessi provenienti da tuberi come il taro e il riso viola.
Questa variabilità dimostra che non esiste “una” Paleo Diet valida per tutti, ma piuttosto un’ampia gamma di interpretazioni adattate ai diversi contesti geografici, climatici e culturali. La chiave è l’idea di tornare a un equilibrio con le risorse disponibili nell’ambiente di appartenenza, rispettando i principi evolutivi che hanno modellato le nostre abitudini alimentari.
Questo approccio mette in discussione i dogmi dei regimi standardizzati, invitando a considerare la biodiversità e la storia della nostra alimentazione come parte integrante della salute e del benessere. Così, la Paleo non si limita a offrire una “lista di alimenti permessi”, ma spinge a una riflessione più ampia: come le interazioni tra genetica, ambiente e risorse alimentari locali abbiano contribuito alla nostra evoluzione e come queste possano guidare oggi scelte più consapevoli e sostenibili.
La paleo “diet” non è una dieta
Seguendo questo principio, la Paleo Diet rompe con il concetto tradizionale di “dieta” intesa come un regime alimentare rigido, spesso vissuto come una fonte di restrizioni e privazioni. In natura, gli animali non contano calorie né bilanciano macronutrienti: seguono il loro istinto, e il corpo si adatta di conseguenza.
Vi posso assicurare che, da adolescente cresciuta leggendo blog sulla thinspo (se non sai cos’è meglio per te!) e manuali sulle calorie degli alimenti, quando ancora non esistevano i social media e, ahimè, anche tanta meno informazione, iniziare a vedere le cose da una diversa prospettiva fu, per me, una vera rivoluzione. Quando, finalmente, compresi che stavo sbagliando tutto, fu come accendere una luce. Ancora oggi ricordo come un incontro con il destino quel giorno in cui entrai in una libreria e, con in mano The China Study e La Paleo Dieta di Robb Wolf, l’istinto mi guidò a scegliere quest’ultimo.
Scoprire la Paleo non è stata per me solo una svolta fisica, ma soprattutto mentale: mi ha aiutato a uscire da un loop autodistruttivo e a liberarmi dalla costante preoccupazione legata al cibo, offrendomi un approccio naturale e gratificante. Da allora, ho imparato a vedere il cibo come fonte di piacere e nutrimento, non come un nemico. Non è più questione di privazione o controllo, ma di un modo sereno e consapevole di nutrire il corpo. Questo cambiamento mi ha dato finalmente la libertà mentale per concentrarmi su aspetti della mia vita che prima non riuscivo nemmeno a considerare. Seguo la Paleo (pur con alti e bassi e qualche sgarro lungo il cammino) perché non voglio mai più “essere a dieta” un giorno della mia vita e ancora oggi, ogni volta che sento qualcuno dire che si è messo a dieta, mi viene l’ansia. Aperta e chiusa la parentesi personale.
Ma è davvero sostenibile?
Qui entriamo in un campo minato. Uno dei principali attacchi alla Paleo Diet – in quanto alimentazione che non demonizza la carne ma al contrario ne promuove il consumo – riguarda la sostenibilità: è possibile sostenere la crescente popolazione globale di 8 miliardi di persone con il consumo di carne, considerando l’impatto ambientale che questa scelta comporta? L’accusa è che il consumo di carne promuove un modello insostenibile di produzione, associato agli allevamenti intensivi e al loro enorme impatto ecologico.
Prima di tutto, sfatiamo, di nuovo, un mito comune: ingozzarsi di carne non è paleo. Cito a proposito un articolo di Geppy Ribaudo:
La Paleo Diet è uno stile alimentare iperproteico basato sulla carne, affermano i detrattori. Ma chi lo ha detto? Dove lo hanno letto? La paleo diet afferma che gli alimenti base di una alimentazione sono carne/pesce in misura moderata, verdura/ortaggi in misura abbondante, frutta/frutta secca/miele in misura minore sostenuto dal fatto che la reperibilità della carne non era e non è, per i cacciatori-raccoglitori moderni, facile mentre verdure/ortaggi e piccole fonti proteiche sicuramente più facili da trovare.
Tornando agli allevamenti intensivi, siamo consapevoli che essi rappresentano un problema enorme – forse il più grave – sia dal punto di vista ambientale che etico. Ma è importante ricordare che non sono ciò che la Paleo Diet promuove. La carne proveniente da allevamenti intensivi non rappresenta un alimento naturale né salutare, né per l’uomo, né per l’ambiente, né per gli animali. Il vero problema non risiede nel consumo di carne in sé, ma nel metodo di produzione che ne sta alla base. Le mucche non sono naturalmente predisposte all’assunzione di cereali: il loro sistema digestivo è progettato per elaborare principalmente erba. Quando alimentate con cereali, infatti, le mucche possono sviluppare gravi problemi di salute, che richiedono l’uso di antibiotici per prevenirne le malattie. Questo non solo compromette il benessere animale, ma rende anche i loro escrementi nocivi per l’ambiente, contribuendo all’inquinamento del suolo e delle acque. Inoltre, la produzione di cereali destinati all’alimentazione del bestiame, contro cui giustamente vegetariani e vegani si scagliano – rappresenta una delle principali cause di degrado ecologico, innescando deforestazione e perdita di biodiversità. Ma questa è una battaglia che dovremmo combattere insieme! (Lo puoi fare, oltre che con le tue scelte, sostenendo, come faccio da anni, enti come Greenpeace: ferma gli allevamenti intensivi).
Chi si approccia alla Paleo Diet in modo consapevole, e non per semplice tendenza, dovrebbe essere portato ad intraprendere naturalmente un percorso di consapevolezza che va oltre la scelta del tipo di cibo da inserire nella propria alimentazione, spostando l’attenzione anche sulle modalità di produzione. Infatti, l’approccio alla carne, che nelle sue linee guida privilegia il consumo di carne proveniente da allevamenti “grass-fed” (allevati al pascolo), è un aspetto cruciale. Scegliere carne da allevamenti etici e sostenibili ha un impatto positivo non solo sulla salute, grazie alla maggiore disponibilità di nutrienti come gli acidi grassi omega-3 e vitamine, ma anche sull’ambiente.
Gli allevamenti intensivi, infatti, sono una delle principali fonti di emissioni di gas serra, inquinamento delle acque e deforestazione, mentre gli allevamenti al pascolo migliorano la struttura del suolo, aumentano la capacità di ritenzione idrica e riducono il rischio di erosione. Gli animali che pascolano su questi terreni contribuiscono a distribuire nutrienti attraverso il loro letame, che arricchisce il suolo, rendendolo più fertile e sostenibile a lungo termine. Inoltre, non solo tendono a emettere meno CO2 rispetto agli allevamenti intensivi, ma fungono da “pozzi di carbonio“, sequestrando carbonio nel suolo attraverso il processo di fotosintesi delle piante, contribuendo così a ridurre l’anidride carbonica atmosferica.
Detto ciò, la Paleo, a differenza del veganesimo, non ha mai avuto la pretesa di salvare il pianeta.
D’altronde, il boom demografico, è stato una diretta conseguenza dell’agricoltura. L’introduzione dell’agricoltura ha permesso agli esseri umani di stoccare e accumulare risorse alimentari in modo più stabile e prevedibile rispetto alla caccia e alla raccolta, che dipendevano dalle stagioni e dalle condizioni ambientali. Ed è stata la più alta disponibilità di cibo, insieme alla possibilità di far crescere le coltivazioni su larga scala, a permettere di dar vita a insediamenti permanenti e a società più complesse (avete presente Jared Diamond?), creando così anche le basi per la sovrappopolazione e per le sfide ambientali che oggi caratterizzano il nostro modello di sviluppo.
Sebbene dunque, a mio parere, la Paleo dieta rappresenti, a livello individuale, una scelta etica e sostenibile quando condotta con consapevolezza, su scala globale è evidente che non è possibile alimentare miliardi di persone con carne e in generale cibo di alta qualità prodotto secondo standard etici. Il problema non risiede nella dieta Paleo, ma nella nostra sovrappopolazione e nelle sfide ambientali che essa comporta.
Onestamente? Non so se troveremo una via d’uscita a questa crisi, tuttavia, credo che un ritorno a scelte alimentari più in armonia con la natura possa rappresentare una parte della soluzione. Un passo verso un modello più sostenibile, che non solo rispetta il nostro corpo, ma anche l’ambiente che ci ospita.
Francesca Pietrobon
Paleoadvisor founder
Allevamenti etici e Grass Fed in Italia
Macellerie Grass Fed in Italia
In copertina: Creative Commons Zero (CC0) di Rachel Claire da Pexelsl
Leggi anche:
Cosa ci insegna la dieta “Paleo” degli Hazda sull’alimentazione umana?
La dieta “agricola” di Gikuyu e Wakamba » Ph. D. Stephan Guyenet
Western Diet, Western Diseases » Gary Taubes