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Intervista a Riccardo Meggiato, eccellenza italiana della Cyber Security

Intervista di Francesca Pietrobon a Riccardo Meggiato

Ho scoperto Riccardo Meggiato in un giorno qualsiasi, mentre leggevo notizie e conversazioni all’interno di qualche gruppo Facebook sulla paleo dieta; ricordo che lo notai per la sua immagine profilo, era la copertina di un libro, di un suo libro, “Imparare l’hackingPartire dalle basiconoscere gli attacchi e sfruttare le vulnerabilità”. Questo dettaglio mi colpì, “dev’essere una persona famosa” pensai, forse mi colpì di più perché non mi aspettavo di trovarlo all’interno di quel gruppo, frequentato per lo più (ma forse solo apparentemente, ad uno sguardo superficiale) da appassionati del fitness o persone alla ricerca di rimedi alternativi ai più svariati problemi di salute o pesoforma.

Per interesse e curiosità personale verso il suo lavoro, e non senza un certo senso di reverenza, iniziai a seguirlo sui social (avevo infatti avuto conferma, dopo veloci ricerche, della sua rilevanza professionale, essendo Riccardo Meggiato uno dei massimi esperti internazionali in Cyber Security e Digital Forensics e autore di svariati best seller come “Il Lato Oscuro della Rete”, “L’Hacker dello Smartphone”, “Imparare l’hacking” e il recentissimo “Social Media Mining”, per citarne solo alcuni). Seguendo i suoi interventi sul suo profilo, mi resi velocemente conto del fatto che lo spessore di Riccardo non si limitava al campo professionale, ma anche a quello culturale e umano.

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Fatta questa breve premessa e excursus personale, chi ci legge si starà forse interrogando sul perché abbia pensato di intervistare un esperto di sicurezza informatica per un sito che tratta come argomento primario la prevenzione del nostro stato di salute e benessere attraverso l’alimentazione e lo stile di vita che definiamo “paleo” o, a seconda dei gusti, “secondo natura”. Il motivo è principale? Arrivare a più persone e essere di ispirazione, far conoscere punti di vista nuovi e non parlare solo alle persone che si possono riconoscere nelle categorie sopra citate. Il secondo motivo? Lo scoprirete leggendo l’intervista.

Tratto da un post di Riccardo Meggiato sul suo profilo Facebook personale:

In un’intervista che mi fecero tempo addietro, alla richiesta di qualche consiglio per chi lavora o vuole lavorare nella cyber-security o nell’informatica forense, risposi “mangiate bene, allenatevi, state in forma“. Ovviamente, molti si son fatti qualche grassa risata di fronte a questa risposta. E già quelli è bene che non li chiamiate mai come consulenti, perché se gli viene difficile la comprensione del testo, figurarsi la cyber-security e l’informatica forense. Detto questo, c’è un motivo preciso per cui diedi quella risposta: in questo campo ti pagano per le competenze, ma per metterle in pratica, soprattutto in situazioni critiche, occorre molta lucidità. Non ti puoi permettere, in questo lavoro, di pranzare con un piattone di pasta e poi essere assonnato il pomeriggio. Non ti puoi permettere, la sera, di farti la frittatona con cipolle alla Fantozzi e scofanartela con una pagnotta di pane da chilo, se poi alle 22 ti chiama un cliente disperato e ci devi andare di corsa con la prospettiva di tornare il pomeriggio del giorno dopo. Non ti puoi permettere di bere troppi alcolici, né di avere il sangue poco ossigenato perché fumi o non sei in forma. È per questo che ho un’alimentazione ferrea, faccio paleo, e cerco di allenarmi ogni giorno, fosse anche di notte. Sicuramente io son un caso estremo, ma ritengo che un cliente che ti paga, in questo settore, meriti di averti al 100% delle tue potenzialità, e le potenzialità sono una combinazione di competenza e capacità di esprimere la competenza.  E dunque, se vuoi lavorare in questo campo, ma non solo, e vuoi fare al meglio il tuo lavoro, devi anche imparare a fare un sacco di rinunce e focalizzarti suoi tuoi obiettivi. Cristiano Ronaldo non è Cristiano Ronaldo perché sa giocare bene a calcio, ma perché al calcio dedica ogni minuto della sua giornata, che si tratti di alimentazione o di allenarsi anche in vacanza. Domani molti si ricorderanno di Ronaldo, mentre nessuno di Dario Hubner, fortissimo attaccante degli anni ’90 che si è sempre vantato di essere poco ligio alle regole e alla forma fisica. Ora più che mai, è necessario che ciascuno, nel proprio piccolo, faccia bene il proprio lavoro

Riccardo Meggiato e la Paleo Diet

Ciao Riccardo! Grazie per aver accettato di rispondere a qualche domanda. La prima sarà forse scontata, ma la risposta di ognuno racconta una storia differente: come hai conosciuto la paleo e cosa ti ha convinto che fosse il regime alimentare adatto al raggiungimento dei tuoi obiettivi?

Ciao e grazie a te per questa intervista!

Alla paleo ci sono arrivato in modo piuttosto originale. Ci fu un momento, diversi anni fa, in cui non riuscivo a sopportare più i ritmi lavorativi che stavo sostenendo. Da quel momento cercai di migliorare il mio stile di vita, in particolare l’alimentazione, provando vari approcci. Dopo vari tentativi, passando anche per alcuni nutrizionisti, arrivai a mangiare solo frutta. Non per qualche ragione etica, solo perché pensavo che mi tenesse “leggero”. Fu un disastro. E così iniziai a sperimentare (ho una solida formazione scientifica alle spalle) con una dieta basata su proteine, grassi e pochissimi carboidrati e, poco a poco, iniziai a diventare sempre più lucido ed efficiente.

In quel periodo, venne a trovarmi un caro amico americano e, arrivata l’ora dell’aperitivo, lo portai a mangiare dei tramezzini. Notai con curiosità che toglieva il pane e ne mangiava solo il ripieno, e gli chiesi perché. Mi parlò della dieta paleo e mentre lo faceva mi rendevo conto che era molto molto simile a quella che stavo seguendo. Di fatto, dovevo fare solo qualche piccolo passo in avanti: abbandonare i pochi legumi e i pochissimi farinacei che mangiavo, dire addio alle solenacee e stare attento alla frutta. Era il 2010, da quel momento la mia vita è davvero cambiata.

Nel tuo post sopracitato dici che cerchi di allenarti “ogni giorno, fosse anche di notte”. Qualche seguace del BIIO System [metodo di allenamento che prevede carichi di lavoro brevi e intensi intervallati da lunghi periodi di riposto, nda] qui dentro (o del rispetto dei nostri ritmi circadiani) storcerebbe il naso, che ne pensi? Sei, o sei stato, seguito da qualcuno, o ti alleni da autodidatta?

Vedi, io credo sia tutta una questione di fortuite coincidenze. Se hai l’età giusta, l’alimentazione giusta e l’allenamento giusto, ottieni risultati incredibili. Il problema è che non sempre e non tutti, per varie ragioni, riescono a godere di questo incrocio di fattori favorevoli. Quando ero molto più giovane, ho fatto palestra ed ero seguito da “allenatori” a mio avviso poco preparati, inoltre avevo una pessima alimentazione. Qualche anno dopo, ero seguito in BIIO ma l’alimentazione rimaneva pessima. Quando poi son passato alla paleo ero ancora in BIIO, ma a quel punto avevo superato i 30 anni e a quell’età il metabolismo cambia radicalmente. Da qualche anno ho trovato un equilibrio perfetto per me: paleo, in certi periodi dell’anno intermittent fasting (quindi di fatto paleo warrior), allenamento mono-frequenza.

Non esiste niente di così intimo e personale come l’accoppiata alimentazione e allenamento: questa combinazione funziona per me ma sbaglierei a consigliarla a tutti. È, semplicemente, il frutto di almeno vent’anni di tentativi e tantissimi sbagli, fatti basandomi sul mio corpo e il mio stile di vita. Un body builder, di cui non ricordo il nome, in un’intervista disse che se si conoscesse il giusto modo di alimentarsi e allenarsi per il proprio corpo, fin dall’adolescenza, chiunque nel giro di 3 o 4 anni potrebbe andare a gareggiare. “Ora vedete lo sviluppo muscolare ottenuto negli ultimi due anni”, diceva, “ma in realtà è il frutto dei vent’anni di errori fatti prima”.

La verità è che molte persone, me compreso, senza saperlo intraprendono percorsi che a volte li portano molto lontani da ciò che fa veramente bene al loro corpo e quando scoprono la ricetta perfetta è tardi, e allora l’obiettivo diventa massimizzare il potenziale che gli rimane. E può essere davvero sorprendente ciò che riusciamo comunque a tirare fuori dal nostro corpo, anche dopo averlo maltrattato per tanti anni.

Detto questo, sono favorevolissimo a BIIO System, ma dipende sempre su chi viene applicato. Il mio metodo di allenamento ne pesca comunque diversi principi. Workout da 45-50 minuti al massimo, zero cardio, poche ripetizioni di cui solo la prima leggera e poi tutte le altre ad alto peso, e un uso smodato di esercizi d’isolamento in mono frequenza. In questo modo un gruppo muscolare viene allenato a distanza di circa 5 giorni. Se ci pensi, è molto vicino a un BIIO System, anche se i puristi potrebbero giustamente criticarmi.

Parliamo di Biohacking…

Oltre che hacker informatico, ti ritieni anche un po’ “biohacker”? La tua determinazione nell’esprimere le proprie competenze e capacità ai massimi livelli mi ricorda molto il loro approccio, anche se le tue motivazioni sembrano molto più altruistiche che egoistiche.

Non mi definisco un hacker, perché uno dei dogmi di questo settore è che non ci si deve mai definire hacker ma devono essere gli altri a definirti tale, però potrei cadere nella civetteria di pensarmi un po’ biohacker, questo sì. Non è un caso che nella mia vasta libreria, che mi rende molto orgoglioso, vi siano praticamente tutti i libri sull’argomento e che sappia quasi a memoria quelli di Tim Ferris . Di sicuro sono uno che ha una buona preparazione in biochimica e tendo sempre a chiedermi perché qualcosa possa fare bene o male calandolo in un contesto biochimico.

Prima di darmi alla paleo, dopo quella chiacchierata con quel mio amico, passai quasi un anno a studiare se ci fossero dei fondamenti biochimici dietro a questo regime. Perché le lectine fan male dal punto di vista biochimico? Qual è il ruolo di leptina e grelina? Davvero gli sbalzi insulinici sono dannosi? Libri come il primo di Robb Wolf (i successivi, diciamocelo, sono schifezze e compromessi) danno risposte semplici e fruibili, ma lontane dall’approfondimento che volevo. Preferivo leggere i principi paleo, poi prendere carta, penna e tenermi a fianco il leggendario “Mathews – Van Holde”, il libro di biochimica per eccellenza. E così, quando ho avuto tutte le risposte che cercavo, e non è detto sarebbe successo, sono passato alla paleo.

Leggi anche L’intervista di Tim Ferris a Charles Poliquin

Se ti interessa l’argomento Biohacking leggi anche le nostre interviste a Matteo Cozzi e Monica Montanaro Biohacking Coach.

Social media e sicurezza informatica

Rientriamo per un attimo nel tuo ambito professionale, per un paio di domande su degli argomenti che, come la salute, volenti o nolenti ormai ci riguardano tutti. In un’altra tua intervista, hai fatto un’affermazione molto forte sul mondo del Web e sulla sicurezza informatica, che riporto: “Se siamo in Rete, siamo della Rete. L’unica alternativa è non esserci o smettere di esserci. Non è un caso se i più grandi esperti di sicurezza informatica che ho conosciuto nella mia vita, non hanno uno smartphone ma vecchi cellulari GSM. Non scherzo, e parlo di gente con conti bancari da milioni di dollari”. Tu però i social li usi e non sembri avere un atteggiamento così iconoclasta verso i nuovi mezzi di comunicazione.

Raramente ho visto un’intervista così ben preparata e domande così ben poste, quindi ti faccio innanzitutto i complimenti. Vedi, uso i social in modo accorto: li semino di informazioni, ma solo di quelle che voglio io. Per esempio, pubblico sempre le foto ore o giorni dopo che le ho scattate, oppure sto bene attento a non sbilanciarmi mai troppo su temi delicati (anche perché avrei poi davvero poco tempo per dare seguito al tritacarne di commenti che ne scaturirebbero).

Qualche giorno fa, per esempio, ho pubblicato un post nel quale annunciavo di essere co-autore di una ricerca scientifica sui metodi di monitoraggio in pazienti affetti da sclerosi multipla: ci lavoravamo da cinque anni, ma non lo sapeva nessuno, nemmeno le persone a me più vicine. Lo hanno saputo solo quando l’ho deciso io. Del mio nuovo libro, uscito il 26 novembre, ne ho parlato il giorno prima dell’uscita. Fino a quel momento dell’esistenza di quel libro ne sapeva solo l’editore. Si tratta di considerare i social come uno strumento, e non come un’estensione della propria vita. È un po’ la differenza che corre tra tenerti le tue foto nello smartphone, e scegliere invece di condividerle: nel momento in cui senti l’impulso irresistibile a condividerle, e quindi a perderne il controllo, c’è qualcosa che non va.

L’utilizzo dei nostri dati personali a scopo di manipolazione politica e sociale è qualcosa di cui dovremmo realmente preoccuparci? Le nuove leggi sulla privacy (GDPR, CCPA, LGPD,…) stanno apportando dei miglioramenti significativi sotto questo aspetto o si tratta di palliativi di una situazione ben più complessa?

Si tratta di un tema così complesso che ci ho dedicato il mio più recente libro, “Social Media Mining – L’arte di estrarre e analizzare i dati da Facebook & Co.”. Innanzitutto sì, le nuove normative sulla privacy sono molto utili al fine di proteggere un po’ di più la nostra privacy. D’altra parte, possono tutelarci nei confronti di chi vorrebbe eventualmente rubarci i dati, ma se siamo noi stessi a darli? Lì non c’è normativa che tenga. Finché saltiamo la lettura delle condizioni contrattuali di un videogame per smartphone, perché è gratuito e non vediamo l’ora di giocarci, e in questo modo accettiamo di fornire molti dei nostri dati, capisci bene che il problema non è solo da parte dei “cattivi”. Il problema siamo soprattutto noi e la nostra mancanza di cultura digitale.

Quindi da una parte abbiamo, per esempio, la GDPR che obbliga chi installa le telecamere a farlo seguendo regole rigidissime, ma al tempo stesso ci sono milioni di persone che su TikTok mostrano una moltitudine di riferimenti che consentono di capire dove abitano, chi sono i loro cari e com’è la loro giornata, spesso con dettagli che mai, a mente lucida, ci verrebbe da fornire a un perfetto sconosciuto che ce li chiedesse. Tutta questa mole di dati può essere utilizzata per avviare campagne di propaganda tarate proprio su gruppi specifici di utenti.

Siamo arrivati all’ultima domanda, in realtà il motivo che mi ha spinto ad aprire Messenger e chiederti l’onore di questa intervista. In uno dei tuoi ultimi post sulla tua pagina Facebook, hai rivelato la tua partecipazione da ben 5 anni a un progetto di ricerca italiano di sviluppo di un test digitale “finalmente preciso, in grado di rilevare come mai prima d’ora l’Information Processing Speed (IPS) nei malati di sclerosi multipla, cioè la velocità con cui il cervello elabora delle nuove informazioni. Un grande passo nella diagnosi precoce della malattia e nell’analisi del suo decorso.” Penso che questo argomento sia di grande interesse per i nostri lettori (ho conosciuto diverse persone che si sono approcciate alla paleo, nella sua versione autoimmune, per alleviare i sintomi di malattie autoimmuni come lo è appunto la sclerosi multipla). Puoi dirci qualcosa di più?

Con piacere. Si tratta, come accennavo, di un progetto di ricerca che dura ormai da cinque anni e che mi vede far parte di questo team, in seno all’università di Verona, in qualità di responsabile di tutti gli aspetti tecnici e legati allo sviluppo del software. Abbiamo realizzato un test sotto forma di videogame: i pazienti affetti da sclerosi multipla giocano come farebbero con un videogame per smartphone, e in base alla velocità e precisione delle loro risposte ai vari stimoli, riusciamo a stabilire l’eventuale peggioramento delle capacità cognitive, che è uno dei principali sintomi della malattia. Dietro al videogame c’è un apparato molto complesso di valutazioni statistiche che dà al nostro test una precisione mai raggiunta fino a oggi in questo settore, dove si utilizzano ancora dei test basati su carta e penna e risalenti a più di 40 anni fa. Ecco, forse può sembrare un’affermazione forte, ma se oggi riesco a seguire tanti progetti così entusiasmanti lo devo a quell’aperitivo, a quei tramezzini e quell’amico. A proposito, grazie Andrea.