22 Apr Dieta paleolitica vs. dieta occidentale moderna: un confronto » Prof. Giuseppe Rotilio
Dieta paleolitica vs. dieta occidentale moderna: un confronto
Riportiamo un estratto del saggio sulla storia e geografia della nutrizione umana di Giuseppe Rotilio (Il migratore onnivoro, 2012), ordinario di Biochimica presso l’Università di Roma Tor Vergata, già presidente dell’Istituto nazionale della nutrizione e della Società italiana di biochimica.
Una fonte che riteniamo pertanto imparziale e “libera” da ogni legame e interesse di promozione di uno stile di vita e alimentare ancestrale o “paleolitico”.
“[…] Molti nutrizionisti hanno sviluppato grande interesse per il regime nutrizionale della fine del Pleistocene, vulgo dieta del Paleolitico.
La tabella riassume le più importanti differenze fra la dieta occidentale di tipo americano e una possibile ricostruzione del regime nutrizionale della specie umana prima della rivoluzione neolitica, basata anche sulle analogie con la dieta di cacciatori-raccoglitori di epoca storica.
Confronto fra diete | Dieta del tardo Paleolitico | Dieta attuale americana |
---|---|---|
ENERGIA TOTALE DELLA DIETA (%) | ||
Proteine | 34 | 12 |
Carboidrati | 45 | 46 |
Zuccheri semplici | 5 | 25 |
Fibra (g) | 45.7 | 19.7 |
Grassi | 21 | 42 |
ALTRI PARAMETRI NUTRIZIONALI | ||
Rapporto Omega 3/grassi saturi | 1.41 | 0.44 |
Rapporto Omega 6/Omega 3 | 1.5 | 10-20 |
Sodio (mg) | 690 | 2300-6900 |
Rapporto K/Na | 16 | 0.8 |
Calcio (mg) | 3000 | 600 |
Acido ascorbico (mg) | 392.3 | 87.7 |
L’apporto proteico
Come si vede nella tabella l’apporto di proteine aveva con molta probabilità un valore triplo rispetto a quello attuale negli USA, e questo è facilmente accettabile considerando che caccia e pesca erano le fonti tecnologiche prioritarie di acquisizione di risorse nutrizionali.
L’apporto lipidico
Il dato sui grassi è ancor più rappresentativo delle differenze fra i due tipi di regime nutrizionale.
Il valore assoluto di introito alimentare di grasso era circa la metà nel regime preistorico, proprio perché “prima della storia”, cioè prima dell’avvento delle società agricole e pastorali, le carni della selvaggina erano meno grasse di quelle degli animali sedentari, allevati e stabulati.
Omega 3 vs. Omega 6
Ma ancora più importante è il fatto che i grassi saturi e gli omega 6 erano minoritari nella dieta paleolitica rispetto agli omega 3, e questo è visto come indice di grande salubrità nella prospettiva nutrizionale moderna.
L’apporto glucidico
Il valore dei carboidrati è il più interessante di tutti, anche per l’identità calcolata della quantità totale introdotta con le due diete. Le differenze stanno altrove.
Nella dieta paleolitica i carboidrati a rapido assorbimento non potevano superare il 5% delle calorie totali data l’assenza di derivati vegetali, come farine e zucchero, prodotti di coltivazione e raffinazione.
Questo valore è legato all’uso di due grandi tipologie dell’attività di raccolta: da una parte bacche, frutti selvatici e tuberi, eredi del passato vegetariano degli ominini, e dall’altra il miele, costruito dalle api da materia prima vegetale.
Oltre ad oggettivi limiti quantitativi di apporti di questo genere, c’è da notare il basso indice glicemico di questi alimenti, nei quali il fruttosio è quasi sempre più abbondante del glucosio, gli amidi sono a lenta digeribilità e la fibra è sempre presente in proporzioni molto cospicue.
Il calcio
Un commento merita il valore del calcio. La grande quantità introdotta può sembrare strana, vista l’importanza che noi attribuiamo a latte e latticini a questo proposito, e questi alimenti compaiono nella nutrizione umana dopo le trasformazioni del Neolitico.
In realtà questo valore si riscontra anche in alcune popolazione di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti, ad esempio gli Eschimesi artici, ed è dovuto essenzialmente all’abitudine di mangiare le prede di caccia e pesca con tutte le ossa, almeno quelle più tenere.
È impossibile per l’uomo convertito ai cereali e alla carne di allevamento raggiungere questi livelli, malgrado il grande apporto di del latte. Vedremo che in questa diminuzione di apporto nutrizionale sta la radice di uno dei problemi maggiori dell’umanità moderna, l’osteoporosi.
L’acido ascorbico o vitamina c
Nella tabella ho anche riportato i valori di acido ascorbico ingerito, più alti nel Paleolitico perché la componente vegetale del cibo era tutta selvatica, e in grado di compensare i radicali liberi provenienti dall’ossidazione metabolica delle proteine, che sono in quota più alta rispetto all’ossidazione degli altri macronutrienti.
L’acido urico
In questo contesto di stress ossidativo in parte dovuto alla grande presenza della carne nella nutrizione di questa epoca, bisogna dire che essa stessa ha prodotto un antidoto di grande importanza che possiamo inserire nel novero delle salubrità della dieta paleolitica, l’acido urico.
Questo metabolita è, nei primati, il prodotto terminale del metabolismo delle basi puriniche che, a loro volta, sono sintetizzate a partire dagli aminoacidi, ovviamente in grande abbondanza e in bilancio metabolico nettamente positivo in una dieta prevalentemente carnivora.
Malgrado l’eccesso di produzione, si sono selezionati geni che ne rallentano l’escrezione renale, producendo un fenotipo risparmiatore per l’acido urico.
L’adattamento in questione è importante per la potente azione antiossidante del metabolita, ancora più rilevante in una alimentazione carne a causa dei ROS che si formano nell’ossidazione metabolica degli aminoacidi. I carnivori specializzati come i grandi felini non hanno il vantaggio evolutivo di questo fenotipo perché la mutazione che non permette la sua degradazione compare solo nei primati più recenti.
Longevità
L’apporto nutrizionale della “dieta paleolitica” ha avuto un effetto decisivo sulla longevità della specie. Caspari e Lee (2004) hanno valutato l’aumento della longevità in quattro fasi dell’evoluzione umana, rispettivamente corrispondenti all’australopiteco, all’erectus del Pleistocene medio-antico (ca. un milione di anni fa), al Neanderthal e al sapiens del Paleolitico superiore antico (ca. 30.000 anni fa).
[…] Si trattava non tanto di indicare la longevità in termini assoluti di massima aspettativa di vita di una specie, ma in termini di percentuale di individui che hanno la probabilità di diventare nonni […]. I risultati hanno dimostrato una tendenza all’aumento di popolazione “più anziana” sin dai primi stadi, con erectus circa due volte più longevo di australopiteco e Neanderthal una volta e mezzo più di erectus. Ciò indica una pressione selettiva costante in favore della “senilità”, che può essere in relazione allo sviluppo del cervello e alla nascita delle prime forme di coesione sociale.
Queste fra l’altro si sono manifestate anche come assistenza reciproca nel reperimento dei nutrienti con ovvie conseguenze di maggiore sopravvivenza. Il miglioramento nutrizionale ha perciò contribuito a produrre questo effetto, anche amplificandolo col circuito virtuoso nutrizionale/encefalizzazione. Il processo tocca il suo apice con l’uomo anatomicamente moderno della fine del Paleolitico, quando il valore del rapporto fra le due categorie di età diventa più di cinque volte maggiore rispetto a quello dei Neanderthal.”